L’osteoporosi si combatte nello Spazio
Una speciale macchina dotata di otto contenitori con i suoi campioni ematici, vari composti e tutta la tecnologia necessaria per capire come la micro-gravità modifichi le caratteristiche delle cellule ossee umane partirà dal John F. Kennedy Space Center della Nasa a Cape Canaveral, in Florida, insieme con la missione spaziale Expedition 52-53. La lotta all’osteoporosi, insomma, sbarca nello Spazio. A bordo della navicella spaziale ci sarà anche il sangue di Mauro Maccarrone, ordinario di Biochimica all’Università Campus Bio-Medico di Roma. Decollerà dagli Stati Uniti il prossimo maggio in direzione della Stazione Spaziale Internazionale. In viaggio ci sarà, per la terza volta, anche l’astronauta italiano, del corpo astronauti dell’ESA, Paolo Nespoli. Forse sarà proprio lui a dare avvio alla procedura di attivazione dei micro-pistoni e dei cilindri dell’apparecchiatura, che inietteranno – con un processo automatico a tempi pre-programmati a Terra dai ricercatori – vari composti nel sangue presente nei contenitori.
Infine, il tutto sarà “congelato” sottozero. Le istantanee che fotografano le modificazioni subite dalle cellule ematiche al trascorrere delle settimane nello Spazio saranno poi analizzate a Terra dagli scienziati che potranno osservare il progredire nel tempo degli effetti della micro-gravità sulle cellule del sangue. L’obiettivo del progetto è quello di trovare conferme sull’origine dell’osteoporosi così da poterla curare e, soprattutto, prevenire. Il progetto SERISM, lanciato alcuni mesi fa con un kick-off meeting presso la sede dell’ASI, vede tra i partner coinvolti anche l’Università di Tor Vergata e quella di Teramo, oltre a Nasa ed Esa. “Scopo primario dell’esperimento – ha spiegato Maccarrone, principal investigator del progetto – è quello di affrontare in modo innovativo il problema dell’indebolimento dell’apparato scheletrico umano”. Questione che riguarda innanzitutto gli astronauti, le cui ossa, dopo alcuni mesi in micro-gravità nello Spazio, perdono molta densità ossea. “Con queste sperimentazioni – ha detto il docente – capiremo se è possibile velocizzare il ripristino delle loro condizioni di massa ossea normale attraverso il prelievo, prima che partano, di cellule staminali presenti nel loro sangue che sono poi capaci di evolvere in cellule ossee, come abbiamo dimostrato in passato”.