Monitoraggio glicemico in reparto grazie a dispositivi donati
Del monitoraggio glicemico in continuo in ambito ospedaliero si parla da molto tempo. Tuttavia i dati disponibili nella letteratura scientifica sono limitati, così come le esperienze cliniche. Grazie alla donazione di alcuni nuovi dispositivi da parte di un’azienda, sono stati raccolti i primi risultati molto incoraggianti sulla gestione nel reparto di diabetologia dell’Ospedale Sacco di Milano.
“L’epidemia che stiamo affrontando e la possibilità di utilizzare degli strumenti donati dalle aziende hanno creato il presupposto per poter finalmente introdurre i più nuovi dispositivi in un contesto ospedaliero – spiega Antonio ROSSI, dirigente medico dell’Ospedale Sacco di Milano – Mi riferisco al monitoraggio continuo della glicemia in pazienti ricoverati per patologie acute che sta offrendo grandi vantaggi. Il primo e più intuitivo è la possibilità di prevenire episodi ipoglicemici, particolarmente pericolosi soprattutto in pazienti fragili. Ma anche la possibilità di valutare il compenso con nuove metriche che vengono fornite solamente da questi strumenti
Monitoraggio continuo, i nuovi dispositivi
Il cosiddetto rtCGM (real time continous glucose monitoring) è una tecnologia che permette di monitorare in continuo e in tempo reale la concentrazione del glucosio a livello sottocutaneo, fornendo avvisi e allarmi in caso di escursioni glicemiche eccessive. Si parla di glucosio interstiziale perché la misurazione viene effettuata nel liquido interstiziale dove la concentrazione del glucosio riflette con buona approssimazione quella presente nel sangue.
“L’esperienza che stiamo maturando nei reparti ci mostra come vengano amplificati vantaggi e criticità di questi sistemi, soprattutto in una situazione di emergenza come quella che stiamo vivendo. La condizione di isolamento dei pazienti – continua ROSSI – il carico assistenziale del personale e la complessità di molti casi ha portato in modo naturale a cercare di ottenere il massimo da questi strumenti, sfruttando la possibilità di non effettuare calibrazioni per ridurre al minimo l’intervento del sanitario e quella di poter monitorare a distanza i dati del paziente”.
I passi in avanti
Questo metodo ha cambiato la cura del diabete di tipo 1 e in una certa misura del tipo 2 migliorandone la qualità della vita. “I motivi di questo enorme impatto sulla salute dei pazienti – precisa ROSSI – sono molteplici: la garanzia di una drastica riduzione del rischio di ipoglicemie severe (prevenute grazie ad allarmi e informazioni dettagliate sulla variazione della glicemia), la disponibilità di una maggiore quantità di dati rispetto ai glucometri (strumenti storicamente utilizzati per monitorare la glicemia), l’effetto su aderenza ed educazione terapeutica”.
Più efficienza in reparto
Questa esperienza in reparto potrà aiutare a sfruttare sempre meglio i vantaggi del CGM gestendo in modo più efficiente le criticità.
“Gli specialisti diabetologi possono correggere le terapie in pochi istanti senza spostarsi dal proprio ambulatorio, con un enorme risparmio di tempo a fronte di una maggior presenza nella gestione del paziente.
La formazione del personale infermieristico – interviene ROSSI – sarà fondamentale così come l’abitudine nell’interpretazione del dato di glucosio interstiziale che può in certe situazioni risultare diverso rispetto a quello del sangue”.
Anche i medici più consapevoli
“Ma questa rivoluzione ha investito anche i medici. In pochi anni abbiamo ribaltato il modo in cui analizziamo gli andamenti della glicemia, che ormai viene valutata in termini temporali. Sostanzialmente – continua ROSSI – possiamo capire quanto tempo il paziente passa in determinati range di glicemia. Diventa così più facile per gli operatori sanitari giudicare il compenso metabolico del paziente, stratificare il rischio in relazione alle oscillazioni glicemiche e capire dove intervenire”.
“Non nutro dubbi sul fatto che in un futuro non molto lontano anche in ospedale si parlerà di sostituire i glucometri con sensori per CGM e di introdurre i sistemi di erogazione insulinica automatizzata, il cosiddetto pancreas artificiale” – conclude ROSSI.