Malasanità (vera o presunta) ecco quanto ci costa
Si può vivere per 20anni con una sonda nello stomaco senza saperlo? A quanto pare sì, almeno a leggere quanto riportato da diversi quotidiani. La storia è quella di una donna di 62 anni che da 20 era rimasta con forse con una parte di una Peg (gastrostomia endoscopica percutanea) nello stomaco. Il tubo, largo circa 2,5 centimetri e lungo circa 6, è stato rimosso nel corso di un intervento effettuato nell’ospedale San Carlo di Potenza. La donna dopo 48 ore si è alimentata senza complicanze legate alla procedura. Un po’ come se il famosissimo dottor Nowzaradan (medico protagonista del celebre programma Tv Vite al Limite) dimenticasse di estrarre dalla paziente di turno un qualche attrezzo chirurgico prima di pronunciare la fatidica frase “potete richiudere”.
I PRECEDENTI
La storia di questa donna, per quanto incredibile, non è certo l’unica avvenuta negli anni. Basta cercare negli archivi del Corriere della Sera per ritrovare traccia di un altro titolo che la dice lunga: «Dimenticano» un telo chirurgico nello stomaco della paziente: due medici sotto processo». Nell’articolo si legge: «L’incidente risale al 29 gennaio del 2009» quando la signora (all’epoca 67 anni), si era ricoverata «per sottoporsi a un intervento di asportazione dell’utero. L’operazione, almeno in apparenza, viene portata a termine con successo, ma a poche ore dal risveglio la paziente avverte subito dolori allo stomaco. Una situazione che pare inspiegabile. È allora necessario procedere ad accertamenti, dai quali emerge la strana presenza di un corpo estraneo di dieci centimetri nell’addome». Altro titolo, del 2014: «Chiari: donna operata, nello stomaco dimenticano il bisturi». L’articolo parla stavolta di una «brutta sorpresa post operatoria per un’insegnante di 40 anni operata a inizio anno» e prosegue: «Ad un paio di giorni dall’intervento infatti la donna ha cominciato ad accusare fortissimi dolori addominali, tanto da convincerla a richiedere un nuovo ricovero, nello stesso ospedale. Sottoposta ad una Tac, per accertamenti, ecco la ‘negligente’ verità: nel suo stomaco, da poco operato, un bisturi lungo quasi 30 centimetri». La storia della medicina è costellata da notizie simili, ma non si legge spesso – purtroppo – dei milioni di interventi che invece salvano vite ormai in bilico. E non è retorica.
I COSTI
Al di là dei casi nei quali ci sono degli errori conclamati, per i quali è più che giusto che ci siano pene severe e risarcimenti, va detto che oggi la sanità (o meglio la presunta malasanità) è diventata un bel business per molti. Sono significativi e molto esplicativi i dati emersi durante l’ultimo congresso dei chirurghi ospedalieri italiani (Acoi) tenutosi a Matera dal 9 al 12 giugno. Secondo questi dati ogni anno in Italia si aprono 35.600 nuove azioni legali, mentre ne giacciono 300 mila nei tribunali contro medici e strutture sanitarie pubbliche. Azioni legali che quasi sempre finiscono con un nulla di fatto, considerando che il 95% nel penale e il 70% nel civile si concludono con il proscioglimento. A preoccupare sono anche i costi del fenomeno per lo Stato, legati al “buco nero” della medicina difensiva, che arrivano a sfiorare i 12 miliardi di euro all’anno (11,87 mld nel 2018): 1 miliardo al mese, 1.543 euro a persona l’anno. Secondo un report messo a punto dall’associazione i contenziosi sono in buona parte attivati nelle regioni del Sud e nelle Isole (44,5%), mentre al Nord siamo al 32,2% e nelle regioni del Centro al 23%. L’area professionale a maggior rischio è la chirurgia con il 45,1% dei sinistri. L’errore chirurgico (presunto tale) è l’evento che viene denunciato con maggiore frequenza (34,9%), seguito da errori diagnostici (18,5%) e terapeutici (9,4%). Ciò che solo pochi non comprendono è che cercare di trasformare la presunta malasanità in un business ha il solo effetto di impoverire il sistema sanitario pubblico.