Donare il cordone ombelicale è un atto di generosità che può salvare una vita umana e non solo. Il cordone ombelicale è infatti una preziosa fonte di staminali che possono essere utilizzate per un trapianto di cellule staminali ematopoietiche nei bambini con patologie ematologiche (talassemie e anemia falciforme) o oncologiche (tumori infantili o leucemie acute). Negli ultimi anni le staminali da cordone vengono utilizzate anche negli adulti affetti da leucemie acute, che non abbiano un donatore compatibile in famiglia o nei registri internazionali. Inoltre, la donazione di cordone potrebbe risparmiare anche gravi disabilità ai neonati prematuri. L’ultimo traguardo è, invece, la trasfusione di sangue cordonale, ricco di emoglobina fetale e prezioso per i neonati prematuri che pesano meno di un chilo.
Banche del cordone ombelicale. Costose ma sempre più salva-vita e risparmia-disabilità
“Al momento – spiega la professoressa Luciana Teofili, direttore medico della Banca del Cordone del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, ricercatore di Malattie del sangue Università Cattolica, campus di Roma– non abbiamo la possibilità di fare trasfusioni di sangue fetale a tutti i bambini perché le donazioni di cordone, almeno nel nostro Policlinico, avvengono solo nel 20% circa di tutte le nascite. Al Gemelli, la banca del cordone è stata istituita nel 2003. Attualmente oltre 630 cordoni della nostra banca sono esposti nella rete nazionale e sono dunque accessibili ai centri trapianto per pazienti che non hanno un donatore familiare”.
Uno dei problemi principali delle banche è la loro sostenibilità economica. Si tratta di un sistema infatti molto costoso e consente di curare un numero limitato di pazienti. L’unica indicazione supportata da evidenze scientifiche per l’utilizzo del sangue cordonale è stata finora il trapianto di pazienti con problemi ematologici. “Finora – prosegue la professoressa Teofili – abbiamo utilizzato i cordoni solo come fonte di cellule staminali. Ma uno dei punti deboli della donazione del cordone è che, per garantire il recupero della funzione ematopoietica, occorre che le staminali siano tante. E quando andiamo a valutare i cordoni, gran parte di queste unità non risultano idonee al trapianto (per la scarsità delle cellule staminali) e vengono dunque scartate. L’idea di utilizzare il cordone come fonte di globuli rossi da trasfondere nasce nei Paesi in via di sviluppo, carenti di risorse anche trasfusionali, che ha portato a recuperare qualsiasi tipologia di emocomponente trasfondibile. Inoltre, diversi studi hanno valutato l’impiego di sangue cordonale per uso autologo (cioè nello stesso bambino), nei piccoli che hanno in programma un intervento chirurgico subito dopo la nascita, per evitare di ricorrere alle trasfusioni classiche. Da qui l’idea di utilizzare il sangue di cordone ombelicale anche per trasfondere i grandi prematuri. Dopo aver recuperato i globuli rossi dal sangue cordonale, si effettuano tutti gli esami e i trattamenti inerenti alla pratica trasfusionale (compatibilità dei gruppi sanguigni, leucodeplezione, filtrazione, irradiazione) e sui campioni di sangue materno raccolti contestualmente all’unità cordonale vengono eseguiti gli esami microbiologici per escludere la presenza di malattie infettive. Di fatto, da ogni unità di sangue cordonale si può ottenere una unità di emazie concentrate sufficiente per una micro-trasfusione”.


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Frasi come: «Non mangiare così tanto!» oppure commenti sulla pancetta, sulle gambe ‘grassottelle’, o sul peso e la taglia dei figli può influenzare e aumentare il rischio di sviluppare un rapporto problematico con il cibo in età adulta. Uno studio pubblicato su
Secondo gli specialisti, è più importante condividere un comportamento sano, attraverso l’esempio, anziché esporre i figli a critiche e mortificazioni. Mangiare insieme la stessa cosa rendendo il momento piacevole, preparare insieme la cena, uscire per una camminata e condividere un percorso, sono i modi più sani per ottenere un risultato. Il comportamento condiviso stimola l’attività e il cambiamento. Inoltre, suggeriscono gli autori della ricerca, i genitori devono dare il buon esempio anche nei confronti del proprio corpo: non basta insegnare comportamenti salutari, bisogna metterli in atto, evitando di commentare anche il proprio peso e aspetto fisico e quello di chiunque altro.