Litigare davanti ai figli è reato. Lo dice la Cassazione
Litigare davanti ai figli minori è reato, perché mina l’equilibrio psicofisico del bambino. Lo ha affermato in una recente sentenza la Corte di Cassazione. Il litigio continuo tra i genitori, spiegano i supremi giudici, crea un danno psicologico ai bambini, i quali restano sconvoliti e coltivano paure e insicurezza che si ripercuotono nell’arco della loro crescita. In altre parole sono da considerarsi come maltrattamenti in famiglia.
Il presupposto da cui parte la sentenza è che i minori dovrebbero essere protetti da ogni forma di brutalità e maltrattamenti; i litigi tra marito e moglie, invece, rappresentano una violenza per i più piccoli. In Italia il reato di maltrattamenti in famiglia è disciplinato dall’articolo 572 del codice penale ed è punito con la reclusione da uno a cinque anni.
In pratica, con questa recente sentenza della Cassazione, il concetto di maltrattamento viene ampliato: non è necessario infatti che il bersaglio dell’aggressione sia il bimbo: basta che il minore assista a una scena violenta per essere “maltrattato”. Si può parlare dunque sia di violenza attiva che di violenza “passiva”, precisa la Corte, secondo cui il reato di maltrattamenti in famiglia si può configurare anche quando i figli sono coinvolti indirettamente, in qualità di semplici spettatori delle liti più veementi che avvengono tra le mura domestiche. E non solo in caso di percosse, bastano anche ingiurie, intimidazioni, umiliazioni, a maggior ragione se queste ultime non sono casi isolati ma si protraggono nel tempo.