Tempo di lettura: 3 minutiSi chiamano molecole dell’immunità innata e sono degli “anticorpi primitivi”. Il loro grande potenziale nella diagnosi e il trattamento di infezioni, patologie autoimmuni e neurodegenerative è stato messo in luce da un team italiano. I risultati dello studio sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Chi sono gli autori della review
La review sulle molecole dell’immunità innata rappresenta una pagina di storia della medicina. L’ha realizzata Alberto Mantovani, direttore scientifico di Humanitas e professore emerito di Humanitas University, e Cecilia Garlanda, responsabile del laboratorio di Immunopatologia Sperimentale di Humanitas e professoressa di Humanitas University. Il team negli ultimi decenni ha guidato scoperte come quella della pentrassina 3 (PTX3).
Le molecole dell’immunità innata. Perché sono così importati
Le prime molecole dell’immunità innata furono isolate quasi un secolo fa. Oggi sono usate in clinica come indicatori diagnostici e prognostici di infiammazione. Il loro livello nel sangue, ad esempio, permette di misurare lo stato infiammatorio e di prevedere l’evoluzione della malattia. Negli ultimi decenni la ricerca è andata molto avanti. Oggi sappiamo che queste molecole, una volta attivate dall’incontro con un patogeno, hanno un ruolo di primo piano. Infatti, combattono l’infezione, riconoscendo l’intruso, segnalandolo e ostacolandone l’azione come degli “anticorpi primitivi”. In particolare, coordinano anche la rigenerazione dei tessuti, perché la guerra che l’organismo scatena contro virus, funghi o batteri, come ogni conflitto, lascia dietro di sé molti danni.
«Abbiamo ritenuto importante mettere a fattor comune tutte le conoscenze sulle molecole della nostra prima linea di difesa a beneficio dei medici e delle future generazioni di clinici, che si trovano ad utilizzarle per diagnosi e terapie, a volte senza aver piena percezione del loro potenziale – spiega il prof. Alberto Mantovani sulle pagine di Humanitas -. Le molecole dell’immunità innata sono infatti protagoniste di alcuni importanti azioni di difesa quando l’organismo è sotto attacco infiammatorio, come avviene nella sepsi o in caso di grandi traumi, ma anche di malattie neurodegenerative o autoimmuni. Usando un’immagine tratta dal contesto bellico, potremmo dire che questa classe di molecole “sottrae materiale al nemico” per indirizzare gli sforzi dell’organismo verso la produzione di mezzi di difesa pesanti e la ricostruzione di quanto è “sotto le macerie” dell’infiammazione. Azioni che lasciano traccia e, se ben misurate, possono guidare l’azione dei medici».
La riscoperta degli “anticorpi primitivi”
Le molecole solubili dell’immunità innata – la prima linea di difesa del nostro organismo – sono un gruppo di molecole dall’azione complessa e diversificata. Non sempre sono facili da studiare per la loro natura solubile. Operano fuori e indipendentemente dalle cellule che le hanno prodotte, muovendosi nell’organismo innanzitutto attraverso il sistema sanguigno.
Molte delle molecole solubili dell’immunità innata si trovano normalmente nei tessuti, dove fanno una sorveglianza passiva. Rimangono in attesa che si manifesti una situazione di emergenza, cioè quando l’organismo riconosce la presenza di un patogeno e/o di un danno ai tessuti. Quando ciò avviene, una cascata di messaggi chimici e cellulari permettono al segnale d’allarme di propagarsi dal tessuto dove è stata riconosciuta l’anomalia in tutto l’organismo. Tutto ciò attiva un vero e proprio stato di allerta sistemico: la “Risposta di Fase Acuta”.
Il potenziale terapeutico di questi anticorpi “antichi”
«Le molecole dell’immunità innata sono uno strumento di diagnosi clinica ormai consolidato: il loro livello nel sangue, come anche COVID-19 ha dimostrato, permette di misurare lo stato infiammatorio e ha grande valore sia diagnostico sia prognostico per molte malattie infettive, infiammatorie o autoimmuni – prosegue la Prof.ssa Cecilia Garlanda -. I dati delle ricerche di questi anni ci dicono però che queste molecole possono fare molto di più: non solo come marcatori prognostici di precisione, ma come target terapeutici ancora in larga parte poco esplorati».
«Se è vero che l’azione dell’immunità innata è meno specifica di quella messa in campo dall’immunità adattiva – la seconda linea di difesa dell’organismo, costruita su misura per la minaccia da affrontare e di cui fanno parte gli anticorpi – oggi sappiamo che le molecole solubili dell’immunità innata agiscono come dei veri e propri “anticorpi primitivi”», concludono i due scienziati. Non a caso diversi studi clinici preliminari stanno testando l’efficacia di queste molecole come potenziali terapie di supporto per malattie infettive, infiammatorie, autoimmuni e neurodegenerative.