Quattro anni per una diagnosi. Se fosse un titolo di cronaca attirerebbe subito l’occhio di migliaia di lettori indignati. Invece, resta nel silenzio assordante dell’indifferenza, trattandosi del limbo al quale sono costrette, in media, le persone con malattia rara. Ecco perché quella del 28 febbraio (Giornata mondiale delle malattie rare) è una data importante. Serve ad accendere un faro e creare attenzione su questa enorme costellazione, fatta di migliaia di patologie (10.000 quelle note) che riguardano gruppi ristretti di pazienti.
RARI MA NON POCHI
Arrivare ad una diagnosi precoce è essenziale per la vita di un bambino che nasce con una di queste patologie, ma anche di un adulto che ne fosse colpito. La diagnosi precoce resta, dunque, la sfida ancora aperta e da vincere. In Europa sono circa 30 milioni i malati rari, due milioni dei quali in Italia. «Noi malati rari insieme – afferma sul proprio sito la Federazione italiana malattie rare Uniamo – riempiremmo una metropolitana di 175 km, lo stadio di San Siro 25 volte, Piazza san Pietro 7 volte e l’Arena di Verona 90 volte». Nel 70% dei casi si tratta di pazienti in età pediatrica ed il 72% delle malattie rare ha un’origine genetica, le altre sono il risultato di infezioni, allergie e cause ambientali. Rari ma tanti, dunque, e le questioni aperte sono varie.
PIANO NAZIONALE
«Il recente via libera al Piano nazionale malattie rare 2023-2025 – afferma Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttrice dell’Osservatorio malattie rare (Omar) – rappresenta un passo enorme, perché punta a migliorare l’accesso alle terapie, superare le disuguaglianze regionali, sfruttare efficacemente le reti, dare piena attuazione alla Legge 175/2021 per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca e della produzione dei farmaci orfani. Tuttavia, manca ancora l’approvazione da parte della Conferenza delle Regioni e ci auguriamo che ci sia presto un decreto per adeguati finanziamenti».
SCREENING NEONATALE
L’ostacolo della diagnosi precoce potrebbe essere in parte superato con lo screening neonatale, che rede possibile l’individuazione precoce di moltissime malattie. Ed è per questo che andrebbe rafforzato su tutto il territorio nazionale. Ad oggi vengono ricercate solo 48 malattie rare. La legge 175 prevede un aggiornamento delle malattie per lo screening neonatale ogni due anni, ma la lista non è aggiornata dal 2016 e nel frattempo almeno altre 10 patologie rare hanno raggiunto i criteri per poter essere inserite, tanto che alcune Regioni le hanno incluse, a partire dalla Sma, ma si creano così forti differenze territoriali che vanno risolte.
REGIONI AL TOP
In attesa dell’aggiornamento del panel nazionale, infatti, sono 16 le Regioni si sono mosse da sole. A guidare la classifica di quelle che hanno ampliato il numero di condizioni rare ricercate c’è la Puglia con 10 patologie in più rispetto a quanto previsto a livello nazionale; a seguire Abruzzo con 7, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Toscana con 5 patologie. Altro nodo, spiegano dalle associazioni, è quello delle esenzioni, non applicate a tutte le patologie, e sarebbe necessario “anche prevedere nei Livelli essenziali di assistenza l’esame del genoma nei casi in cui non si arriva ad una diagnosi: con un costo di circa 500 euro, si può arrivare ad individuare il problema nel 70% di queste situazioni. Inoltre, cruciale è puntare sulla formazione, affinché i medici possano riconoscere i campanelli d’allarme e indirizzare i pazienti ai centri di riferimento.
LA RICERCA
Al centro di tutto resta però la ricerca scientifica, la vera speranza per arrivare un giorno alla cura di tante patologie rare. E in prima linea è la fondazione Telethon. Ammontano a 5,27 milioni di euro le risorse che Telethon destinerà al finanziamento di 35 progetti di ricerca in malattie genetiche rare. Una quota significativa, ha annunciato la fondazione a pochi giorni dalla Giornata mondiale, andrà ad indagare i meccanismi ancora ignoti o solo parzialmente chiariti di malattie genetiche tuttora prive di un trattamento specifico, ma non mancano anche progetti focalizzati su potenziali approcci terapeutici