Si tratta di un passo importante per comprendere l’evoluzione del virus SARS-CoV-2 e i meccanismi che portano alla generazione di nuove varianti virali. Sono i risultati di due studi pubblicati sulle due riviste Patterns e iScience, realizzati da un team italiano coordinato dall’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate.
Nella lotta al virus SARS-CoV-2, un fattore chiave consiste nell’identificare tempestivamente le varianti del virus: quando una persona è colpita dal Covid-19 viene, infatti, contagiata da un numero elevato di particelle virali che presentano piccole differenze nella propria sequenza genomica – le varianti – che influenzano la capacità del virus SARS-CoV-2 di adattarsi e diffondersi.
Identificare quante e quali varianti sono effettivamente presenti in ogni persona affetta da Covid-19 è possibile grazie ad esperimenti di sequenziamento, ma come fare a predire su larga scala come le varianti si generano e si diffondono nella popolazione?
La risposta in due algoritmi sviluppati da un team italiano composto da Alex Graudenzi, ricercatore dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare (Ibfm) del Consiglio nazionale delle ricerche di Segrate (Milano), dai prof. Rocco Piazza, Marco Antoniotti, Carlo Gambacorti-Passerini dell’Università di Milano-Bicocca, dagli assegnisti Daniele Ramazzotti, Fabrizio Angaroni dello stesso ateneo e dall’assegnista Cnr-Ibfm Davide Maspero. Il team ha sviluppato e rilasciato due algoritmi che permettono di prevedere la generazione di nuove varianti e la loro evoluzione nel tempo. Le due metodologie sono descritte, rispettivamente, sulle riviste di data science Patterns e iScience.
Algoritmi per capire le varianti. Lo studio
“Il primo metodo, chiamato VERSO (Viral Evolution ReconStructiOn) permette di ricostruire la storia evolutiva del patogeno, di trovare collegamenti epidemiologici tra due persone infette, ossia un potenziale contatto tra due individui, e di intercettare varianti possibilmente pericolose prima che si diffondano nella popolazione”, chiarisce Alex Graudenzi (Cnr-Ibfm). “Sempre a partire da dati di sequenziamento, il secondo metodo permette invece di quantificare i meccanismi responsabili della generazione di tali varianti. In particolare, questo studio ha dimostrato che alcuni enzimi umani (APOBEC e ADAR) sono responsabili della generazione di specifiche tipologie di mutazione osservate sul genoma virale, mentre l’intensità e la presenza di tali processi mutazionali appare estremamente eterogenea nei pazienti, suggerendo la possibilità che essi possano essere correlati ai differenti decorsi della malattia.”
Gli studi danno nuovi importanti strumenti ai ricercatori che nel mondo studiano le sequenze virali per comprendere le proprietà e i mutamenti del virus nel tempo, consentendo di inquadrare tale evoluzione e la comparsa di nuove mutazioni nel contesto di precisi meccanismi molecolari.