Tempo di lettura: 2 minutiLa pandemia da Covid-19 ha cambiato radicalmente la pratica clinica quotidiana sia durante il lockdown sia nei mesi successivi. E, probabilmente, cambierà molti protocolli e procedure sanitarie. Durante l’emergenza anche in Urologia si è osservata una riduzione dell’attività sia di elezione che di pronto soccorso. In alcuni casi tra il 75 e il 90 per cento, molto spesso in modo indiscriminato. Oggi si vedono pazienti che pagano il prezzo di una gestione tardiva della propria patologia.
«L’attività chirurgica per le patologie oncologiche non si è mai fermata, così è stato possibile non allungare le liste d’attesa per la gestione delle principali neoplasie urologiche e soprattutto per i tumori della vescica e i tumori della prostata più aggressivi», dice Cosimo De Nunzio, dirigente medico di Urologia, ospedale Sant’Andrea, la Sapienza. «Ma, nonostante l’impegno nel gestire le patologie oncologiche – aggiunge – abbiamo osservato una chiusura o drammatica riduzione di molte prestazioni sanitarie anche in campo oncologico. Basti pensare alla riduzione delle cistoscopie o delle biopsie della prostata, indagini fondamentali per eseguire una corretta diagnosi precoce. Oggi assistiamo agli effetti del lockdown in termini di diagnosi e screening tardivi». E però. «Proprio con la telemedicina, il telefono, la e-mail, le piattaforme e il web abbiamo iniziato a gestire a distanza molti pazienti». Anche la formazione a distanza rappresenta una nota positiva di questa esperienza. «La telemedicina – insiste De Nunzio – può rappresentare un’ottima opzione per far fronte alle conseguenze della pandemia e una possibile soluzione per garantire una sanità all’avanguardia anche in zone difficilmente raggiungibili. Molti studi hanno evidenziato come oltre il 50 per cento delle visite oncologiche è eseguibile in telemedicina, già favorevolmente valutata nel follow-up del tumore della prostata non metastatico, nella valutazione dei pazienti con ematuria, nella valutazione delle imaging di stadiazione/ – follow-up delle principali patologie oncologiche». Tra i vantaggi, «una riduzione della mobilità dei pazienti, dei costi e del disagio, soprattutto per i più anziani, evitando anche i viaggi della speranza anche solo per far visionare una Tac». Certo, ci sono anche limitazioni dovute alle stesse tecnologie: studi sono in corso sui diversi aspetti. «In collaborazione con i colleghi del Research urology network, gruppo urologico di ricerca italiano, abbiamo valutato il ruolo della telemedicina in urologia e pubblicato i risultati su European urology», spiega il medico.
di Emanuela Di Napoli Pignatelli
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione