Si chiamano “xenobot” e sono l’ultima frontiera dell’ingegneria applicata alla medicina (e non solo). Per usare un linguaggio semplice, gli xenobot sono come dei robot, di pochi millimetri, costruiti con cellule viventi. Sono stati progettati e realizzati da scienziati Usa, e vengono definiti «i primi robot viventi». Sono in realtà una nuova forma di quelli che si possono definire “artefatti”, organismi viventi programmabili, e per questo utili a svolgere diversi compiti.
DNA ANFIBIO
Il team che ha creato gli xenobot è partito da embrioni di rana assemblati con cellule viventi. Il risultato è appunto quello di avere oggi dei robot viventi che possono spostarsi verso un bersaglio, forse anche raccogliere un carico utile (come una medicina che deve essere trasportata in un punto specifico all’interno di un paziente). La promessa che li accompagna è quella di far progredire la capacità dei farmaci di arrivare a destinazione, ma non solo: ci sarebbe spazio per loro persino nella pulizia dei rifiuti tossici. Per far capire di cosa si sta parlando, gli esperti fanno qualche esempio. Un libro è fatto di legno, ma non è un albero, evidenziano. Così gli xenobot sono «nuove macchine viventi», afferma Bongard. «Non sono né un robot tradizionale né una specie conosciuta di animali». Sono 100% Dna di rana, ma non sono rane.
IL FUTURO
Per questi xenobot si possono immaginare molte utili applicazioni, compiti che le macchine tradizionali non possono svolgere. Possono muoversi nell’ambiente alla ricerca di contaminazione radioattiva, possono recuperare la microplastica negli oceani. Potrebbero viaggiare nelle arterie per ripulirle da eventuali placche o aggredire il cancro. La realtà sembra ancora una volta sfidare la fantascienza, basti pensare a creazioni hollywoodiane con micro astronavi pronte ad esplorare il corpo umano. Ma quelli sono film che con questi xenobot non hanno nulla a che vedere. È bene chiarire che siamo ancora lontani dall’arrivare ad applicazioni pratiche, ma il futuro non sembra più così lontano.