Tempo di lettura: 2 minutiMedulloblastoma. Nonostante il nome sia poco noto, si tratta della forma più diffusa di tumore cerebrale dell’infanzia. La notizia è che un gruppo di ricercatori dell’Istituto di biologia cellulare e neurobiologia del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibcn-Cnr) di Roma ha sviluppato un trattamento che riesce a far regredire la neoplasia o farla scomparire del tutto, senza provocare danni cognitivi i neoplasie secondarie. Si tratta di un passo in avanti determinante, perché nonostante questa forma di tumore abbia un tasso di sopravvivenza accettabile, la tossicità dei trattamenti disponibili (in particolare della radioterapia) lasciano nei pazienti danni gravi. I ricercatori del Cnr, grazie all’esperienza maturata in un decennio di studi sullo sviluppo dei neuroni nel cervello e nel cervelletto (neurogenesi), ha dimostrato in vivo che dopo il trattamento con la proteina Cxcl3, anche se il tumore ha già iniziato a svilupparsi, il medulloblastoma non si forma più o scompare completamente. Lo studio è pubblicato su Frontiers in Pharmacology.
Un uovo approccio
La strada tracciata è totalmente diversa da quelle che si percorrono oggi. L’approccio attuale si basa infatti sul blocco della proliferazione dei precursori cerebellari neoplastici grazie all’impiego di sostanze tossiche. La ricerca del Cnr sfrutta invece la plasticità residua del precursore cerebellare neoplastico. «La proteina Cxcl3 – spiega Felice Tirone dell’Ibcn-Cnr, che ha guidato la ricerca in collaborazione con Manuela Ceccarelli e Laura Micheli – ne forza la migrazione al di fuori della zona proliferativa del cervelletto verso la parte interna, dove i precursori neoplastici differenziano, uscendo definitivamente dal programma di sviluppo del tumore. Già nel 2012 avevamo identificato la chemokina Cxcl3 quale possibile target terapeutico, dimostrando che la mancanza di questa proteina si lega a un notevole aumento della frequenza del medulloblastoma, poiché i precursori cerebellari, cioè le cellule giovani che poi diventano neuroni, non riescono più a migrare al di fuori della zona proliferativa alla superficie del cervelletto e tendono a diventare neoplastici. Una permanenza eccessiva nella zona proliferativa rende cioè i precursori più suscettibili alle mutazioni che inducono la proliferazione incontrollata».
La nascita di una terapia
Il prossimo passo è quello di studiare l’applicabilità nell’uomo di questo trattamento, che è stato brevettato dal Cnr. «Cxcl3 – dicono i ricercatori – sembra essere privo di tossicità anche ad alte dosi, ma resta da chiarire se la plasticità dei precursori cerebellari tumorali, cioè la capacità di differenziare dopo la migrazione, permane a stadi più avanzati del tumore». Un’applicazione possibile sarebbe nella sindrome di Gorlin, dove il medulloblastoma è trasmesso geneticamente, e quindi la sua insorgenza è più prevedibile e monitorabile sin dalle fasi iniziali di sviluppo.