È difficile, oggi, immaginare tutte le possibilità offerte dall’impiego in sanità dell’intelligenza artificiale (AI). Non è azzardato ritenere che l’impatto sarà rivoluzionario come forse in tutti gli altri ambiti dell’esistenza umana. Tra investimenti e attenzioni crescenti, l’AI in sanità è in parte già realtà: utilizzando una enorme quantità di dati tramite algoritmi di machine learning, ossia di apprendimento automatico, queste tecnologie sono già utilizzate nella pratica clinica (in ambito oncologico, neurologico e cardiologico) per supportare l’imaging medico e migliorare l’accuratezza e la rapidità dei risultati diagnostici. L’impiego di modelli linguistici può inoltre consentire di analizzare testi, riassumere e archiviare conversazioni medico-paziente, o di creare bot di interfaccia per rispondere a quesiti clinici in telemedicina; e più in generale di migliorare la rapidità e l’efficienza operativa, alleggerendo il peso di una burocrazia che oggi rappresenta la principale zavorra del Sistema Sanitario Nazionale, in termini anche di equità di accesso all’innovazione e dunque di inclusione socio-sanitaria nel suo complesso.
Requisiti normativi
Sicuramente molti degli utilizzi attesi, per esempio in terapia, sono ancora lontani, e non manca una fisiologica diffidenza sia tra i medici che tra i potenziali pazienti: i dati utilizzati dagli algoritmi possono infatti risultare imprecisi, e fornire risposte fuorvianti o errate, comportando dei potenziali rischi per la salute ma anche per la privacy del cittadino. Questo soprattutto nel caso in cui, come avverte l’Oms, si utilizzino sistemi non sufficientemente testati. Una riflessione corre dunque anche ai requisiti normativi europei sui dispositivi medici, che non possono che essere basati su solidissime prove di sicurezza ed efficacia. L’intelligenza artificiale in sanità non sostituirà probabilmente mai l’essere umano, a cui spettano le decisioni finali per questioni di responsabilità, ma soprattutto di etica e di deontologia. Che si parli di cure in senso più tradizionale, o di applicazioni d’avanguardia, è alla società tutta che va chiesta consapevolezza, sulla necessità di investire in ricerca e in risorse umane e tecnologiche, e di sviluppare una visione che includa tutti gli attori coinvolti: operatori sanitari, aziende e potenziali pazienti, cioè ogni singolo cittadino, nessuno escluso.
Articolo pubblicato su Molto Salute e sul Messaggero.it, il giorno 13 luglio 2023 a firma di Marco Trabucco Aurilio con la collaborazione del network editoriale PreSa – Prevenzione e Salute