«Si è riusciti a garantire che le prove d’accesso si tenessero in modalità sicura, tutto è andato per il meglio: ora guardiamo all’avvio delle lezioni con la volontà di continuare su questa strada». A tracciare un bilancio dei test di accesso a Medicina è Luigi Califano, presidente della Scuola di Medicina e chirurgia della Federico II. «Il test si è svolto con le consuete modalità, la novità è stata che si è fatto nelle province di residenza dei candidati e rispettando scrupolosamente le norme di distanziamento».
Ritiene che si potrà partire in sicurezza con le lezioni?
«Questo è lo sforzo che la Scuola di Medicina della Federico II sta facendo per riprendere tutte le attività didattiche. Si è predisposto un piano che prevede l’impiego delle aule al 50%, il distanziamento, l’impiego di mascherine e dispenser di disinfettanti. Bisognerà poi tenere sotto controllo l’andamento della pandemia e reagire di conseguenza».
Questa drammatica esperienza ha creato nuove consapevolezze rispetto alla formazione dei futuri medici?
«Dalla pandemia dovremmo ricevere molti insegnamenti. Di certo non saremo più gli stessi, il nostro modo di pensare e di agire sta cambiando. Credo sia giusto che si faccia una programmazione del numero dei professionisti che è importante formare tramite una proiezione di quanti ne serviranno e con quali specializzazioni. Questo lavoro deve consentire di immettere nel sistema della didattica, della ricerca e l’assistenza in campo medico un numero congruo di medici».
Oggi questi numeri sono coerenti con le esigenze?
«I numeri sono indicati dal ministero sulla base delle programmazioni fatte dalle singole Regioni. Probabilmente un incremento si dovrà realizzare anche solo in funzione dei pensionamenti che ci saranno nei prossimi anni, non dimentichiamo che la programmazione di oggi ha impatto su ciò che accadrà tra undici anni. Bisogna anche dare agli studenti la possibilità di frequentare reparti di emergenza e diagnostici per acquisire le competenze indispensabili per una formazione completa. La spesa in formazione è sempre un investimento, lo è ancor più se si parla della salute dei cittadini».
Stesso discorso per i contratti di specialistica?
«Come l’Europa giustamente prescrive, ogni Paese deve farsi carico di un certo numero di contratti di formazione specialistica programmati sulla scorta delle esigenze. Il vulnus è che nel sistema attuale ogni anno si perdono dei posti. È giustissimo incrementare questi contratti misurandoli con le esigenze reali del Paese, ma è anche opportuno rivedere il meccanismo di assegnazione per fare in modo che non vadano sprecati».
Fonte: Il Mattino – Speciale Salute & Prevenzione