Gli investimenti in terapie innovative danno nuove possibilità di cura ai pazienti, ma convengono anche in termini di risparmio della spesa sanitaria. È quello che è successo in Italia con l’epatite C e l’introduzione dei farmaci a elevata efficacia, in grado di eliminare il virus C “HCV”. Questa nuova passi è stata prima utilizzata per il trattamento dei casi più gravi e in seguito estesa a tutte le persone affette indipendentemente dal danno epatico, con la possibilità di rimborso da parte del sistema sanitario nazionale.
Lo studio
La conferma di quanto questa decisione sia stata lungimirante anche dal punto di vista economico è arrivata dallo studio “Analisi modellistica sulle conseguenze cliniche ed economiche del trattamento antivirale contro l’infezione cronica dal virus dell’epatite C”, condotto dal Eehta del Ceis dell’Università di Roma Tor Vergata, diretta dal professor Francesco Saverio Mennini con Andrea Marcellusi e Raffaella Viti, in collaborazione con la Piattaforma Italiana per lo studio della Terapia delle Epatiti Virali, coordinata dal professor Stefano Vella e Loreta Kondili del Centro Nazionale per la Salute Globale dell’Istituto Superiore di Sanità, l’Associazione Italiana per lo studio del fegato e la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali. La ricerca è stata pubblicata su Pharmaco Economics, una delle più autorevoli riviste di economia sanitaria.
Costi benefici
«L’obiettivo – spiega Mennini – era quello di valutare se l’investimento che il sistema sanitario nazionale ha fatto negli ultimi anni per l’acquisto dei farmaci a elevata efficacia verrà mai ripagato e, nel caso in cui questo avvenga, in quanto tempo otterremo dei ritorni economici accettabili. I risultati che si trovano nell’analisi sono riportati in termini di benefici ottenuti nel corso degli anni grazie all’eliminazione del virus con la terapia antivirale. Nello specifico, e seguendo un approccio in termini di costo opportunità, sono state considerate le spese evitate per la gestione delle complicanze generate dalla malattia che la sanità avrebbe dovuto sostenere se non avesse scelto di usare le nuove terapie».
I dati
I ricercatori si sono basati sui dati della piattaforma italiana per lo studio delle epatiti virali, gestita dall’Istituto Superiore di Sanità, e hanno preso in esame due periodi. In una prima fase, si sono concentrati sui casi presi in cura nel 2015, cioè quelli dove la malattia si era manifestata nella sua forma più severa. Mentre, in un secondo momento dell’indagine sono stati esaminati quelli trattati tra il 2016 e il 2017, ossia, i pazienti con forme più lievi. «Il modello economico ha dimostrato che il trattamento delle persone affette da forme gravi della malattia del fegato trattate nel 2015, anno in cui l’accesso veniva autorizzato solo per i casi più gravi, ha portato un significativo ritorno in termini di riduzione di eventi clinici attesi accompagnato da un parziale ritorno dell’investimento iniziale per l’acquisto dei farmaci», aggiunge Mennini. Se nella prima fase è stata dimostrata l’efficacia delle terapie innovative, è dalla seconda parte della ricerca che sono emersi i dati più rilevanti dal punto di vista economico.
Vantaggio economico
«Nei pazienti trattati tra il 2016 e 2017, anni in cui sono entrati nel programma tutti coloro che avevano contratto il virus, le complicanze evitate hanno permesso di ottenere un recupero degli investimenti iniziali per l’acquisto delle medicine stimate in sei anni e quattro mesi. Dal punto di vista della spesa, questo vuol dire che fare accedere tutti alle cure consente di ottenere un recupero totale del denaro investito e potrebbe garantire addirittura dei risparmi nel medio lungo periodo. Infatti, il nostro modello stima una riduzione della spesa totale a 20 anni per i pazienti trattati nel corso del 2016 e del 2017 rispettivamente pari a circa 50 milioni di euro per 1000 pazienti. Questo dovrebbe far riflettere su quanto le terapie innovative portino vantaggio ai malati e più in generale a tutto il sistema sanitario».
Clicca QUI e sfoglia lo Speciale Salute pubblicato dal Corriere del Mezzogiorno in collaborazione con PreSa