Asma, ecco perché peggiora di notte
Gli attacchi di asma si intensificano la notte, chi ne soffre lo sa bene. Ma perché la gravità della malattia sembra acuirsi nelle ore notturne? Finalmente anche questa domanda ha trovato una risposta, grazie ad uno studio condotto dalla Harvard Medical School di Boston, negli Stati Uniti pubblicato sulla rivista scientifica PNAS. Obiettivo di questa ricerca è stato proprio quello di scoprire il nesso tra il sonno e la malattia asmatica, in particolare indagando se e in che modo il nesso asma-sonno dipendesse dal ritmo circadiano in sé o fosse condizionato da fattori esterni ambientali o comportamentali. I ricercatori hanno valutato le variazioni della gravità dell’asma in 17 pazienti per 3 settimane a casa e in laboratorio e hanno dissociato gli effetti circadiani dagli effetti ambientali e comportamentali. Nel protocollo di routine di 38 ore, i partecipanti sono rimasti svegli in posizione semisdraiata e hanno ricevuto spuntini a intervalli fissi. Il protocollo di desincronizzazione forzata di 196 ore consisteva in sette cicli di veglia/sonno sequenziali di 28 ore, con tutti i comportamenti programmati in maniera uniforme durante il ciclo circadiano.
L’ORA PEGGIORE
La funzione polmonare ha seguito un modello circadiano endogeno attraverso i protocolli, con il peggioramento della funzione di notte, intorno alle 4 del mattino. Questo risultato può avere rilevanza clinica perche’ l’uso di broncodilatatori inalatori era quattro volte piu’ comune di notte che durante il giorno. Presi insieme, i risultati dimostrano che il sistema circadiano ha un impatto autonomo sulla gravità dell’asma. Secondo gli autori, lo studio rivela il potenziale per migliorare le strategie terapeutiche tenendo conto del ritmo biologico interno degli individui. A quanto pare, dunque, il sonno ha una funzione per così dire “autonoma” nel peggiorare la malattia asmatica. Ma questo non deve impressionare chi vive la condizione di paziente. Ciò che invece è importante è rivolgersi ad uno specialista che possa monitorare nel tempo l’andamento della malattia, così da evitare brutte recidive o attacchi improvvisi.