Infezioni post operatorie: uno spreco da 600 milioni l’anno
Presentato ieri a Roma lo studio del Ceis-Eehta Tor Vergata e Ministero della Salute sull’impatto economico delle infezioni del sito chirurgico nelle operazioni sanitarie, nell’ambito del convegno “Il ruolo dell’adozione di pratiche assistenziali e dei dispositivi medici innovativi di comprovata efficacia clinica nella prevenzione e riduzione dell’insorgenza delle infezioni ospedaliere”.
Francesco Saverio Mennini (Ceis Tor Vergata): Infezioni post operatorie, uno spreco da 600 milioni l’anno e un danno grave per 47 pazienti su 1000.
Roma, 25 febbraio 2020. Le infezioni ospedaliere nei ricoveri per acuti possono costare la vita ai pazienti e sottraggono risorse preziose al Servizio sanitario nazionale: colpiscono 47 degenti su mille e costano 600 milioni all’anno. Per un ricovero con infezione sono necessari mediamente 17 giorni di degenza per un costo di 9.416 euro: risorse che potrebbero essere spese per la qualità dei servizi, inoltre dal 2006 al 2018, la situazione è peggiorata e i casi sono quasi raddoppiati passando da 25 a 47 su mille.
Lo dice lo studio presentato oggi a Roma sull’impatto economico delle infezioni del sito chirurgico nelle operazioni sanitarie, finanziato dal Ministero della Salute, e condotto dal CEIS-EEHTA (Economic Evaluation and HTA) della Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata. La ricerca è stata illustrata nell’ambito del convegno “Il ruolo dell’adozione di pratiche assistenziali e dei dispositivi medici innovativi di comprovata efficacia clinica nella prevenzione e riduzione dell’insorgenza delle infezioni ospedaliere” alla presenza di Claudio D’Amario (direttore generale della Prevenzione Sanitaria del Ministero della Salute), di Marcella Marletta (direttore generale dei Dispositivi medici e del Servizio farmaceutico del Ministero della Salute), di Giovanni Rezza (direttore dipartimento di Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità) e di Massimo Andreoni (Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Roma Tor Vergata).
In dettaglio, spiega il prof. Francesco Saverio Mennini, direttore dei Ceis: “Considerando che un solo giorno di degenza costa mediamente 800 euro, le infezioni allungano il periodo di ricovero facendo un doppio danno: il primo alla salute del paziente, il secondo alle risorse della sanità. Per ogni ricovero in cui si sviluppa un’infezione il costo medio è di 9.500 euro, risorse sprecate che potrebbero essere investite per migliorare i servizi sanitari, per la prevenzione delle stesse infezioni e per eventuali assunzioni di personale. Un’infezione per un intervento di ernia vale 4.627 euro e si passa ai 12.745 per una laparocele: un’enormità che deve far riflettere e spingere a mettere mano a un cambiamento”.
“Per questo – precisa ancora Mennini – il peggioramento del quadro statistico nei 12 anni analizzati è dovuto solo in piccola parte a una migliore misurazione del fenomeno e dunque a un’attenzione più specifica a questo grave fenomeno connesso all’assistenza, ma anche e soprattutto da una situazione complessivamente più critica anche a causa del progressivo definanziamento della sanità, a una minore attenzione alla prevenzione, a un basso utilizzo di dispositivi medici di ultima generazione e più efficaci e ad uno scarso ricorso alla cura delle infezioni mediante utilizzo di antibiotici efficaci, accompagnati da un calo del personale impiegato nella nostra sanità pubblica”.
LA RICERCA
Le infezioni ospedaliere rappresentano l’80% di tutte quelle osservate e interessano quattro principali distretti anatomici: il tratto urinario, le ferite chirurgiche, l’apparato respiratorio, il torrente circolatorio (sepsi, batteriemie). Per calcolare il valore economico delle infezioni post operatorie è stato stimato il valore delle giornate di degenza aggiuntive imputabili alle infezioni confrontando la durata di degenza media, DRG specifica, dei ricoveri con e senza insorgenza di infezioni.
“Sono state prese in considerazione esclusivamente le infezioni che insorgono durante la degenza in ospedale, o in alcuni casi dopo che il paziente è stato dimesso, e che non erano manifeste clinicamente né in incubazione al momento del ricovero” sottolinea Mennini. Gli interventi esaminati sono stati: appendicite, calcolosi, colecistite, diverticolite, ernia e laparocele.
Lo studio parte da una considerazione di metodo: in Italia non esiste un sistema di sorveglianza stabile delle infezioni ospedaliere, ma sono stati condotti numerosi studi multicentrici di prevalenza. Per questo è possibile stimare che il 5-8% dei pazienti ricoverati contrae un’infezione ospedaliera e dunque ogni anno si verificano in Italia 450-700 mila infezioni, di queste, circa il 30% sono potenzialmente prevenibili: nell’1% dei casi sono direttamente causa del decesso.
Per analizzare il fenomeno sono stati selezionati tutti i ricoveri acuti, in regime ordinario, con data di dimissione compresa tra il 1° gennaio 2006 e il 31 dicembre 2018, che presentavano in diagnosi principale o secondaria uno dei codici ICD9CM individuati: Escherichia coli; Staphylococcus aureus; Klebsiella spp; Infezione intestinale da Clostridium difficile, ma anche da altro (infezione batterica non specificata, infezione intestinale, meningite batterica, stenosi uretrale dovuta a infezione).