Tumore alla prostata e diagnosi precoce, al via screening gratuito in Lombardia
A novembre 2024 partirà in Lombardia il primo programma di screening in Italia per la diagnosi precoce del tumore alla prostata, basato sull’esame del PSA. Si tratta di una novità importante, nonostante il test sia ancora oggetto di dibattito tra gli esperti per la sua efficacia. Il cancro alla prostata è il tumore più diffuso tra gli uomini, con 41.100 nuove diagnosi stimate nel 2023. Lo screening interesserà inizialmente i residenti lombardi di 50 anni e, anno dopo anno, sarà esteso a tutti gli uomini tra i 50 e i 69 anni. L’adesione sarà possibile attraverso il Fascicolo sanitario elettronico, mentre la Regione sta mappando le strutture pubbliche e private accreditate per garantire la copertura del servizio.
Il test del PSA
Il test del PSA è utilizzato dagli anni Ottanta, principalmente per monitorare e seguire l’evoluzione del tumore alla prostata. Si tratta di un esame del sangue che rileva la presenza dell’antigene prostatico-specifico (PSA), una proteina prodotta dalla prostata, presente soprattutto nel liquido seminale, ma in piccole quantità anche nel sangue. Tuttavia, il PSA non è specifico delle cellule tumorali: può essere elevato in caso di tumore, ma anche per disturbi come l’ipertrofia prostatica, infezioni o infiammazioni. Per anni si è tentato di utilizzare questo test per lo screening di massa, ma l’inaffidabilità dei risultati ha portato la comunità medico-scientifica a sconsigliarne l’uso a tale scopo. Un PSA elevato può portare a ulteriori esami invasivi e trattamenti non necessari, spesso per patologie indolenti o inesistenti. Attualmente, solo in Lituania esiste un programma nazionale di screening per il cancro alla prostata basato sul PSA.
Esame del PSA per la diagnosi precoce del tumore alla prostata
“È un dato di fatto che l’esame del PSA permetta di intercettare un tumore in una fase precoce che può essere trattato più efficacemente. Quello che va però evitato è il rischio di sovradiagnosi e di sovratrattamento, cioè di considerare questo test come sufficiente a stabilire se è presente un tumore e se sia opportuno un eventuale intervento” spiega per AIRC Francesco Montorsi, primario di Urologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario di urologia all’Università Vita-Salute San Raffaele. “Ogni anno molti pazienti vengono da me con un tumore alla prostata in fase avanzata. Tutti hanno in comune un PSA elevatissimo e il fatto di non essersi mai sottoposti a questo esame fino a quel momento”. Il punto, quindi, non è se usare o meno il PSA, bensì come valutare un eventuale risultato positivo. “Un PSA elevato non significa infatti che sia presente un tumore, né che esso sia più o meno aggressivo, o che sia necessario operare. Significa solo che la persona merita di essere sottoposta a ulteriori esami prima di decidere se e come intervenire.”
In caso di esito positivo
A fronte di un PSA elevato, le linee guida internazionali indicano che il medico deve informare il paziente del fatto che saranno necessari ulteriori approfondimenti. A distanza di qualche mese, se il PSA è ancora elevato, si suggerisce una risonanza magnetica multiparametrica che permette di individuare eventuali aree sospette. Se risulta negativa, non si procede e si rivede il paziente un anno dopo. Se invece è positiva, allora solo a quel punto si sottopone il paziente a biopsia, un esame invasivo che aiuta a chiarire il tipo di tumore e il grado (più alto è il grado e maggiore è l’aggressività del tumore).
“Un secondo elemento da considerare è che la chirurgia ha fatto passi in avanti notevoli. Un intervento alla prostata non significa necessariamente essere condannati a una vita di incontinenza o impotenza, com’era un tempo” spiega Fabrizio Dal Moro, direttore del reparto di urologia dell’Azienda ospedaliera dell’Università degli studi di Padova. “Questo è possibile grazie alla chirurgia localizzata e a quella robotica, che permettono alla maggior parte dei pazienti operati di superare l’incontinenza poco tempo dopo la rimozione del catetere. Chiaramente la possibilità di intervenire in modo meno invasivo dipende dallo stato di avanzamento della malattia. Se la intercettiamo prima, abbiamo maggiori possibilità di una buona ripresa post-operatoria”.
Sostenibilità del SSN
Il PSA è un semplice test del sangue, dal prezzo irrisorio, la risonanza magnetica è invece molto più costosa e richiede personale altamente specializzato. Alcuni studi internazionali hanno mostrato che il test del PSA dà qualche vantaggio sul tumore. Lo suggeriscono, per esempio, i risultati di un follow up a oltre 10 anni dalla diagnosi, ottenuti grazie a uno studio terminato nel 2011 e condotto in 15 Paesi europei con il coordinamento di Fritz Schröder e colleghi, dell’Erasmus University di Rotterdam, nei Paesi Bassi. Questi dati hanno mostrato che lo screening su alcune fasce di popolazione intorno ai 50 anni d’età porterebbe a una riduzione della mortalità del 30 per cento circa. Si tratta di risultati ancora più convincenti rispetto a quelli per lo screening del tumore della mammella.
“Il tema è delicato” conclude Montorsi. “Conta tenere a mente che di fronte a un risultato positivo di PSA, non è scontato che ci sia un tumore, che le cure non sempre sono necessarie, e che bisogna sempre valutare che cosa è meglio per ogni paziente e per ogni servizio sanitario, rimanendo saldi nell’ottica di evitare interventi non necessari.”